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Se il futuro parlasse una sola lingua che mondo sarebbe?

Secondo David Crystal "un mondo con una sola lingua superstite – una catastrofe di ecologia intellettuale senza precedenti – è uno scenario che in teoria potrebbe affermarsi di qui a cinquecento anni" (La rivoluzione delle lingue, Bologna, il Mulino, 2005, p. 48). Mi riesce francamente molto difficile pensare a uno scenario del genere. Preferisco guardare alla diversità linguistica come a un patrimonio inestimabile al quale una parte almeno del genere umano non sarebbe disposta a nessun costo a rinunciare. Ricordando una riflessione di Leopardi contenuta nello Zibaldone:

"Ciascuna lingua […] ha certe forme, certi modi particolari e propri che per l’una parte sono difficilissimi a trovare perfetta corrispondenza in altra lingua; per l’altra parte costituiscono il principal gusto di quell’idioma, sono le sue più native proprietà, i distintivi più caratteristici del suo genio, le grazie più intime, recondite, e più sostanziali di quella favella. Nessuna lingua dunque è uno strumento così perfetto che possa servire bastantemente per concepire con perfezione le proprietà tutte e ciascuna di ciascun’altra lingua".

“L’italiano è la lingua della memoria, il còrso è la lingua del cuore, il francese la lingua del pane”; lo ha ricordato Marco Ferrari nel cappello a una intervista fatta a Jacques Thiers, noto scrittore e saggista. è come dire che ogni lingua, proprio come ciascuno dei suoi parlanti, ha una sua identità, una sua personalità, una sua anima; insegnare o apprendere una lingua non è insegnare o apprendere semplicemente il modo di parlarla e di scriverla ma tentare invece di trasmettere o assimilare proprio quell’identità, quella personalità, quell’anima. Caso peraltro emblematico ed esemplare, la Corsica, dell’ideale connubio tra diverse realtà linguistiche che ha portato alla elaborazione della nozione di polinomia. “Una lingua polinomica”, ha osservato Thiers nel corso dell’intervista ricordata, “è quella in cui l’unità non procede dal consolidamento di una norma unica, ma dalla volontà dei parlanti di proclamarla unica tollerando le variazioni della diversità dialettale e sociale”. Affermare l’unicità e l’irripetibilità di una lingua, se abbracciamo questa causa, non significa perciò discriminare le sue varietà interne, che possono discostarsi in misura più o meno rilevante dallo standard rappresentato dall’arbitraria selezione, storicamente determinatasi, di un certo numero di suoi tratti. L’anima si rivela composta di tante anime, tutte egualmente bisognose di riconoscimento, e l’insegnamento della varietà, subentrato alle vecchie prestazioni didattiche che impartivano una monoscopica sequenza di rigidissime regole, diventa occasione di apprendimento di una elementare grammatica della cooperazione: se chi insegna una lingua restituisce dignità alle sue tante anime interne, dando voce a ciascuna di esse, chi apprende ricambia con una maggiore disponibilità al dialogo; a confortarlo la ben riposta speranza che il trattamento riservato alle varietà interne alla lingua che sta imparando non sarà diverso da quello riservato a lui, che si convertirà facilmente nel rispetto per la sua identità di parlante. Quasi una prova preliminare d’integrazione, se caliamo tutto ciò nel plurilingue contesto europeo, per rendere meno problematico (o traumatico) il contatto tra culture e mentalità diverse.

La lingua come ponte fra culture e identità
Per alcuni l’unica via da intraprendersi da parte della vecchia Europa per il reciproco, pacifico riconoscimento delle rispettive diversità è costituita dal dialogo tra le lingue e le culture incaricate di rappresentarle. Laddove il multiculturalismo esporrebbe al concreto pericolo di una balcanizzazione (G. Sartori, Pluralismo, Multiculturalismo e estranei, Milano, Rizzoli, 2000, p. 112), l’interculturalismo garantirebbe il positivo riconoscimento delle reciproche identità, evitando di concedere il destro sia all’intolleranza xenofoba sia al differenzialismo integralista. Il mutuo, preliminare riconoscimento delle identità linguistiche dei partecipanti, nel contesto di insegnamento/apprendimento di una lingua straniera, favorisce l’aspirazione a sentirsi realmente parte della vita, della cultura, dei costumi di un paese nel quale non si è nati, che si conosce appena, a cui non si è in grado di comunicare le speranze che si nutrono, i sentimenti che si provano, la visione che si possiede del mondo. Esso può portare così un contributo decisivo alla costruzione di quella strada a doppio senso di cui ha parlato Kofi Annan in un discorso tenuto (29 gennaio 2004) davanti ai membri del Parlamento europeo:

L’integrazione è una strada a doppio senso. Gli immigrati devono adattarsi alle nuove società – e le società devono saper adattarsi a loro volta. La parola «integrare» letteralmente significa «fare un tutto»: questo è l’imperativo per l’Europa d’oggi.

Integrare anche per sentirsi integrati. Perché la paura del diverso può creare una nuova, pericolosa forma di esclusione; l’autoemarginazione di chi, quasi straniero in casa propria, si sente circondato da masse di parlanti in lingue sconosciute che istintivamente rifiuta; masse destinate a farsi sempre più numerose: secondo il rapporto del 2003 dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni i 175 milioni di migranti registrati nel 2000 diventeranno 230 milioni nel 2050.
Il nostro futuro di cittadini italiani ed europei, e il futuro stesso del mondo, dipenderanno anche da ciò che saremo in grado di fare nei prossimi anni per integrare il “diverso”, innanzitutto linguisticamente. Chissà che un giorno gli intrecci e le intersezioni dell’interculturalismo possano evolvere verso la realizzazione dell’utopia della fusione accarezzata dalla filosofia transculturale. Quel giorno, tra gli elementi componenti le tante forme linguistiche ibride diffuse oggi per il mondo, saranno allora diventati del tutto invisibili i punti di sutura. Quel giorno avremo realmente capito l’importanza dei valori sociali, culturali, antropologici, prima ancora che grammaticali, di una qualunque realtà linguistica.

Lasciare l’isola alla volta della penisola
Lo scrittore gerosolimitano Amos Oz, affrontando i temi scottanti del fanatismo religioso e del sanguinoso conflitto tra israeliani e palestinesi, ci ha restituito indirettamente, in una assai bella immagine, una delle migliori definizioni di identità:

«nessun uomo e nessuna donna è un’isola, siamo invece tutti penisole, per metà attaccate alla terraferma e per metà di fronte all’oceano, per metà legati alla tradizione e al paese e alla nazione e al sesso e alla lingua e a molte altre cose. Mentre l’altra metà chiede di essere lasciata sola, di fronte all’oceano. Ciò vale per gruppi sociali e culture e civiltà e nazioni […]. Nessuno […] è un’isola e nessuno […] potrà mai amalgamarsi completamente con l’altro. […] [L]’immaginare l’altro, il riconoscere la nostra comune natura di penisole possono rappresentare una parziale difesa dal gene fanatico, che tutti abbiamo insito in noi» (Contro il fanatismo, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 54 sg.).

Se rileggiamo la metafora di Oz in chiave di riflessione linguistica possiamo grosso modo ricavarne l’identikit di ogni lingua individuale calata in un determinato contesto: una lingua che deve tanto alla “terraferma” dei valori di riferimento esterni all’individuo, che può riconoscerli ma può anche contrapporvisi – i legami con la comunità politica, sociale e linguistica in cui nasce e si sviluppa, i richiami della tradizione, le norme impostegli dall’idioma nazionale ecc. –, quanto all’“oceano” dei tratti irriducibili che costituiscono il suo peculiare modo di esprimersi e di comunicare, diverso da quello di qualunque altro individuo. Una lingua individuale intesa in questo modo riunisce insieme, in una unità indissolubile, due istanze solo apparentemente inconciliabili; accomunate l’una e l’altra, per il ruolo fondamentale riconosciuto da entrambe al contesto sociale, dal rigetto delle vecchie e nuove teorie universaliste dell’essere umano. Una lingua del genere, realisticamente, non si può forse né insegnare né apprendere; attribuirle il valore di un limite, nel senso matematico del termine, ci aiuterebbe però a prendere il mare aperto senza sentirci sopraffatti dalla paura di esserci imbarcati, allontanandoci troppo dalla costa, in un viaggio senza ritorno. Con un po’ di fortuna, una volta tornati sulla nostra isola, saremo almeno riusciti a carpire qualche segreto alle vite che abitano una penisola.

*Linguista, sociologo della comunicazione, critico letterario e scrittore, è professore ordinario di Linguistica italiana presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Cagliari, che attualmente presiede.


L'INSEGNAMENTO DELLE LINGUE NELLA SCUOLA ELEMENTARE
A circa 10 anni dalla riforma dei programmi e degli ordinamenti della scuola elementare, quasi tutte le scuole del territorio nazionale beneficiano dell'insegnamento della lingua straniera; questo risultato è il frutto di una politica di reclutamento del personale docente che si è sviluppata, fondamentalmente, in due direzioni: l'attività di formazione in lingua straniera rivolta ai docenti disponibili a prestare l'insegnamento, il bando di concorso ordinario arricchito della prova facoltativa in lingua straniera.
Su tali basi, di più saldo radicamento dell'insegnamento, la scuola elementare ha potuto partecipare alla sperimentazione dell'ampliamento ed arricchimento dell'offerta formativa, stimolando la progettualità scolastica intorno a diverse azioni tutte rientranti nell'ambito del Progetto Lingue 2000.
I dati statistici offerti ad una lettura che tocca la loro analisi numerica espressa e la potenzialità inespressa sottesa, fanno intuire come la scuola elementare si prepara ad un impegno di ammodernamento dell'insegnamento linguistico in un quadro di profonde innovazioni.

IL LICEO LINGUISTICO
E' una delle scuole superiori a cui si può accedere in Italia al termine della scuola media inferiore e offre una base culturale solida dando accesso a tutte le facoltà universitarie. Molti licei linguistici risultano ancora istituti privati nonostante ricevano al termine del corso di studi un normale diploma liceale di maturità linguistica. Vi sono diversi indirizzi di liceo linguistico: moderno (sperimentale), umanistico, progetto Brocca. Si denotano anche differenze sostanziali nei quadri orari degli stessi indirizzi linguistici nelle differenti scuole. Come in tutti i licei, è previsto lo studio della lingua latina (solitamente nel linguistico tradizionale questa è studiata nel biennio). Delle lingue viene studiata prima la grammatica, dopo di che inizia lo studio della letteratura, degli autori, dei movimenti, argomenti che vengono portati anche all'esame di maturità. La presenza di Licei Linguistici veri e propri non è vasta in Italia, poche sono le città che ne hanno almeno 1, da segnalare che Genova ne comprende ben 6. Il liceo linguistico (standard), come tutti i licei ha come base lo studio della storia, della filosofia, del latino (nel biennio) e della lingua inglese. Materie portanti di questo corso di studi sono le lingue straniere. In alcuni licei, inoltre, si studiano come lingue anche il cinese, il russo e l'ebraico. Molta importanza viene data anche allo studio della lingua e letteratura italiana e offre una base soddisfacente per le materie scientifiche. Non mancano degli indirizzi sperimentali e particolareggiati come per gli altri istituti in cui viene approfondito lo studio del diritto, della storia dell'arte in lingua straniera o dell'informatica. Particolarità dell'istituto è l'affiancamento, durante le ore di lingua straniera, di una conversatrice di lingua madre alla professoressa vera e propria almeno un'ora alla settimana (anche di più per il francese e l'inglese). I Licei Linguistici sono tutti paritari, mentre si precisa che nelle scuole statali si effettua sperimentazione linguistica.


L'ORIENTAMENTO SCOLASTICO DOPO LA TERZA MEDIA

Orientare significa mettere l’individuo nella condizione di prendere coscienza di sé e di far fronte, per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione, alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice obiettivo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona.
Quindi l’orientamento assume il significato di aiutare una persona, o un gruppo, ad affrontare un processo decisionale per giungere ad assumere una determinata scelta.
La persona deve essere considerata come l’agente principale del suo sviluppo, e ogni scelta deve avere l’individuo al centro dell’attenzione.
La presa di decisione deve maturare all’interno di un progetto personale: quindi l’orientamento va visto come auto-orientamento.
E’ necessario considerare l’individuo nella sua globalità e, quindi, nelle sue diverse dimensioni psicologiche: gli aspetti cognitivi, quelli affettivo-emotivi e quelli sociali.
Fare orientamento, sia che si tratti di orientamento scolastico o orientamento professionale, significa fare in modo che la persona acquisti consapevolezza nel momento in cui si trova a dover fare una scelta, scolastica o professionale che sia, e fare in modo che affronti tale scelta (o scelte), nella maniera migliore possibile per se'.
Il punto focale e' quindi la persona sotto tutti gli aspetti, da quello emotivo, cognitivo a quello sociale, si fa in modo che sia la persona stessa a capire, ad auto-orientarsi.
Saper scegliere che direzione prendere diventa allora molto importante, sia che si tratti di persone giovani, che di persone adulte che vogliono o si trovano nella condizione di dover cambiare lavoro.

I fattori che incidono sulla presa di decisione sono:
- Come la persona stessa si vede in quel determinato momento della sua vita, l'immagine quindi che ha di se';
- Il sistema di valori e di significati che la persona si costruisce nel tempo all'interno del suo gruppo sociale;
- L'insieme delle opportunita', ma anche delle restrizioni e dei vincoli che il momento specifico presenta.

Un buon orientamento mette la persona in grado di:
- Sapere quelle che sono le sue caratteristiche personali, le proprie capacita', i suoi interessi, i suoi valori;
- Sapere identificare le aree in cui puo' migliorare;
- Essere disponibile al cambiamento;
- Accettare l'incertezza ogni scelta puo' comportare;
- Analizzare correttamente le situazioni;
- Prendere decisioni e trovare soluzioni;
- Assumersi la responsabilita' delle proprie scelte e dei problemi che possono sorgere;
- Conoscere in maniera corretta le possibilita' che ha di fronte prima di compiere una determinata scelta;
- Affrontare nella maniera migliore la rinuncia che normalmente una scelta comporta;
- Intraprendere una determinata formazione o carriera;
- Saper affrontare i vincoli che possono porsi davanti agli obiettivi;
- Saper costruire progetti futuri.

La scelta della scuola superiore è un momento sicuramente importante nella vita scolastica di un ragazzo. Vi sono alcuni studenti che hanno le idee molto chiare sul proprio futuro e sono in grado di prendere una decisione senza ripensamenti, altri che ritengono di sapere quale percorso vogliono intraprendere, ma successivamente si rendono conto che la scelta effettuata non era la più adatta a loro. La maggior parte dei ragazzi si mostra invece molto confusa rispetto al proprio futuro e spesso finisce con il seguire i suggerimenti dei genitori o amici che purtroppo non sempre si rivelano i più adeguati.
Certamente al giorno d’oggi, uno studente di 13 -14 anni non può essere in grado di prendere autonomamente una decisione rispetto alla scelta del proprio percorso scolastico. Ovviamente è importante coinvolgere al 100% il ragazzo nel processo di scelta e aiutarlo a riflettere su di se, sui propri interessi, sulle aspirazioni ed anche sulle eventuali difficoltà. Tutto ciò comunque non può essere fatto senza l’aiuto della famiglia e dei docenti che devono accompagnare lo studente in questo momento di transizione.
In molti casi tuttavia rimangono dei dubbi e la famiglia fatica a prendere una decisione definitiva, sentendo il desiderio di un supporto esterno che aiuti il ragazzo ed i genitori a riflettere più approfonditamente suoi vari aspetti coinvolti nella scelta e ad effettuare una sintesi finale.

Allora che cosa fare?

La scelta della scuola media superiore (o, come si dice ora in modo più complicato, della scuola secondaria di secondo grado) è una decisione sofferta che spesso mette in crisi lo studente interessato e la sua famiglia.

Certo, la scelta è importante e va valutata bene, analizzando almeno alcuni aspetti della situazione:

1 - le tendenze personali, le competenze già acquisite, i gusti e le preferenze dello studente;
2 - le tipologie di scuole presenti sul territorio in cui si risiede (senza troppo farsi influenzare dalle voci che circolano: molte scuole hanno una "fama" migliore o peggiore di altre, ma il mondo cambia e... anche i professori e i presidi!)
3 - le prospettive future di lavoro.

Il punto 3, in teoria, dovrebbe essere quello che conduce alla decisione finale, ma, ahinoi, è quello più controverso.
Se uno ha il papà dentista o commercialista e vuole proseguire la professione paterna, beh, allora la scelta è più facile (se non altro, si ritrova lo studio già avviato!).

Ma, con i tempi che corrono, normalmente la scuola frequentata e il diploma conseguito non garantiscono più che chi abbia studiato da ragioniere poi lo faccia veramente o che chi ha frequentato l'istituto agrario vada a lavorare in un'azienda agricola...

Oggi un diploma (qualsiasi) è richiesto anche per fare il commesso in un supermercato o l'impiegato generico in un ufficio.
Il mondo del lavoro e le sue leggi cambiano rapidamente e ancora cambieranno nell'arco di tempo in cui arriverete a diplomarvi.
Ciò che è certo oggi non lo sarà domani.
Questo non perché il mondo si sia messo a girare più velocemente, ma perché il libero mercato, lasciato troppo libero, genera confusione, incertezza, insicurezza. Ma anche perché la tecnologia si evolve rapidamente e genera necessità, servizi e posti di lavoro nuovi e diversi.
Quindi dovrete essere pronti ad una certa elasticità e flessibilità nel vostro futuro.
Iniziando già da ora a pensare che la scelta della scuola superiore non influenzerà del tutto la vostra vita futura e non determinerà in modo definitivo il vostro destino.
Ripensamenti, passaggi, cambiamenti di percorso saranno sempre possibili.

Quello che vi resterà d'importante, in ogni caso, sarà l'aver vissuto un'esperienza scolastica positiva e valida: ciò, naturalmente, dipende per un 50% dalla scuola, ma per l'altro 50% solo da voi, dal vostro impegno e dal vostro entusiasmo nell'apprendere.

Nella scelta della scuola superiore, comunque, non siete soli: ci sono i vostri genitori, i vostri insegnanti, i servizi informativi del vostro Comune e della vostra Provincia.

Buona scelta!

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LINGUA POINT - REGGIO EMILIA - RE